Intestazione fittizia delle fatture, la prima analisi è del cliente

24.07.2025

In tema di operazioni soggettivamente inesistenti, spetta al contribuente la prova contraria di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare a un'evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto. Nel caso in esame, i giudici di legittimità hanno bocciato una sentenza di secondo grado con cui, al contrario, i giudici tributari avevano affermato che non spetta al contribuente il compimento di una "attività di ·indagine sulla pendenza o definizione di cause tributarie a carico dei suoi interlocutori commerciali". È questo il principio posto dalla Corte di cassazione con la decisione n. 17522 del 30 giugno 2025.

Il caso
La controversia origina dalla notifica, da parte dell'Agenzia, di un avviso di accertamento a una società a responsabilità limitata, che esercitava attività di commercio all'ingrosso di computer e software. Con riferimento all'anno d'imposta 2014, dall'esame dell'indagine fiscale è emerso, tra le altre, la violazione ai fini Iva dell'articolo 19 del Dpr n. 633/1972 per indebita detrazione di imposta, in quanto afferente a operazioni soggettivamente inesistenti.
La società ha impugnato l'avviso dinanzi all'allora Ctp di Reggio Emilia, che accoglieva il ricorso. Avverso la pronuncia di primo grado l'Agenzia ha proposto appello in secondo grado, che veniva rigettato con conferma della sentenza impugnata.

La parte pubblica, quindi, ha presentato ricorso in Cassazione eccependo, tra l'altro, la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 19 del Dpr n. 633/1972, nonché degli articoli 2729 e 2697 del codice civile, in relazione all'articolo 360, n. 3), cpc, per aver i giudici del secondo grado, violato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di detraibilità dell'Iva e di riparto del relativo onere probatorio.

La decisione della Corte di cassazione
Con la decisione in commento i giudici della suprema Corte affermano che "ove l'Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una "frode carosello", essa ha l'onere di provare, anche in via indiziaria, non solo l'inesistenza del fornitore, ma anche, sulla base di elementi oggettivi e specifici, che il cessionario sapeva (o avrebbe potuto sapere), con l'ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, che l'operazione si inseriva in un'evasione dell'imposta; incombe, quindi, sul contribuente la prova contraria di avere agito in assenza di detta consapevolezza e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi".

Osservazioni
In generale, per operazioni soggettivamente inesistenti si intendono gli "acquisti" effettivamente avvenuti, ma presso un fornitore diverso da quello che ha emesso la fattura.

Nel comparto dell'Iva, occorre muovere dal diritto del cessionario o committente di detrarre l'imposta assolta sugli acquisti, esercitabile soltanto in presenza di fatture provenienti dal soggetto che ha effettuato l'operazione. Per garantire il regolare dipanarsi del rapporto impositivo è previsto, infatti, che il tributo debba essere versato a chi ha effettivamente operato (cfr Cassazione, sentenza n. 39541/2017). La ragione della cautela è che il versamento a un soggetto diverso determina un serio pericolo per l'erario, poiché in tal modo si estromette il contribuente "reale" (e cioè quello che ha effettuato l'operazione e che è effettivamente titolare della relativa materia imponibile) sostituendolo con un soggetto artificioso e privo di garanzie di soddisfacimento dell'obbligazione tributaria. Proprio per questo il sistema dell'Iva poggia su una rigorosa "tracciatura" delle operazioni.

Per quanto concerne il riparto dell'onere probatorio, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, la giurisprudenza comunitaria e di legittimità hanno ormai da tempo raggiunto una posizione che sembra consolidata.

Secondo l'orientamento prevalente l'Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell'imposta sul valore aggiunto, senza che sia necessaria la prova della partecipazione all'evasione (cfr Corte di giustizia Ue, Bonik, C-285/11 e Ppuh, C-1277/14). Detta prova può ritenersi raggiunta qualora l'Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei a integrare una presunzione semplice, come prevede per l'Iva l'articolo 54, comma 2, Dpr n. 633/1972 (cfr Cassazione nn. 14237/2017, 20059/2014 e 10414/2011; Corte di giustizia Mahagèben e David, C-80/11 e C-142/11).

Una volta che l'Amministrazione abbia provato, in base a elementi oggettivi, che il contribuente, al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l'emissione della relativa fattura, evaso l'imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto e a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente, passa al contribuente medesimo l'onere di fornire la prova contraria (cfr Cassazione nn. 23560/2012 e 25575/2014).

In particolare, al contribuente "destinatario" non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio cedente, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, sia pur nei limiti dell'esigibile, in presenza di indici personali o operativi peculiari e anomali dell'operazione commerciale, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi sia in punto di identità del soggetto che in apparenza figura come emittente la fattura, sia in punto di potenziale perpetrazione di una potenziale evasione. La rilevanza di detti indici è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell'imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l'aspettativa, fisiologica e ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo.

Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che tale onere non può ritenersi assolto con l'esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia (cfr Cassazione n. 28628/2021). Allorché le operazioni siano state rese al destinatario, che le ha effettivamente ricevute, da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione rappresentata nella fattura, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti, l'Iva non è, in linea di principio, detraibile perché versata a un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all'obbligo di pagamento dell'imposta: In un simile contesto, ai fini della ripartizione dell'onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un'eccezione al principio di neutralità dell'Iva che tale diritto costituisce.

In definitiva incombe in primo luogo, sull'Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell'esibizione del titolo, difettano le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione; una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di avere svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente.

Nel caso in commento la sentenza d'appello è stata cassata dai giudici di legittimità in quanto errata in punto di diritto perché contrastante con i suddetti principi. La pronuncia del gravame infatti "si è sostanzialmente limitata ad affermare che al contribuente non spetta una "attività di indagine sulla pendenza o definizione di cause tributarie a carico dei suoi interlocutori commerciali".

Da Fisco Oggi