Difesa penale dell’amministratore, Iva sulle spese legali indetraibile

29.07.2025

Con sentenze "gemelle" depositate il 25 giugno 2025 (nn. 17111 e 17112), la Sezione tributaria della Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi su una questione di perdurante attualità e complessità, ossia la detraibilità dell'Iva assolta su spese legali sostenute da una società per la difesa penale dei propri amministratori e/o dipendenti.

I casi in esame, originati da avvisi di accertamento per anni d'imposta consecutivi, si sono conclusi con il rigetto dei ricorsi della società contribuente. Tale esito ha offerto alla Suprema corte l'opportunità di consolidare un orientamento che postula un concetto di inerenza ai fini Iva autonomo e più restrittivo rispetto a quello valido ai fini delle imposte dirette.

La questione centrale, su cui si concentra la motivazione dei giudici, risiede proprio nella violazione dell'articolo 19 del Dpr n. 633/1972 nel caso di detrazione di spese sostenute per la difesa dell'amministratore della società.

La Corte di cassazione ribadisce con fermezza che, ai fini Iva, il diritto alla detrazione presuppone un nesso "diretto e immediato" tra l'acquisto di beni o servizi e una o più operazioni tassate a valle o, più in generale, l'attività economica del soggetto passivo. Si tratta di una valutazione prettamente qualitativa, che esclude ogni considerazione di natura quantitativa o meramente utilitaristica.

L'analisi interpretativa della Corte parte da un consolidato principio civilistico, mutuato dalla disciplina del mandato e, in particolare, dall'articolo 1720 codice civile, ossia che affinché un costo sostenuto dall'amministratore possa essere rimborsato dalla società, è necessario che esso sia stato affrontato "a causa", e non semplicemente "in occasione", del proprio incarico.

Le spese per la difesa in un processo penale, anche qualora questo si concluda con il proscioglimento dell'accusato, non scaturiscono direttamente dall'adempimento del mandato, bensì da un "elemento intermedio", ovvero l'iniziativa di un terzo (l'accusa), che, seppur rivelatasi infondata, spezza il nesso di causalità diretta con l'attività di gestione.

Traslando tale principio sul piano fiscale, la Suprema corte afferma che l'inerenza richiesta dall'articolo 19 Dpr n. 633/1972 esige la medesima correlazione diretta con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili. I costi per la difesa penale, invece, non sono qualificabili come costi di "operazioni sociali legittime", poiché la loro finalità primaria è quella di tutelare l'interesse del singolo individuo, non quello dell'impresa a produrre reddito imponibile.

A specificare la portata di tale principio, gli stessi giudici chiariscono che "si estende alle sole spese effettuate per espletamento di attività che il mandante ha il potere di esigere, ossia a quelle spese che, per la loro natura, si collegano necessariamente all'esecuzione dell'incarico conferito, nel senso che rappresentino il rischio inerente all'esecuzione dell'incarico, mentre esulano dall'ambito applicativo della norma quelle spese sostenute per attività svolte in occasione del mandato stesso".

Strettamente connessa a questa impostazione è l'analisi sull'irrilevanza di eventi successivi alla maturazione del costo, come l'esito del procedimento penale. La società ricorrente, infatti, aveva posto a fondamento di uno specifico motivo di ricorso l'omesso esame di un fatto che riteneva decisivo: "la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Napoli che escludeva la responsabilità di … nel procedimento penale R.G. n. 231/2001, quale conseguenza immediata e diretta dell'assoluzione dei dipendenti". Tale circostanza avrebbe dimostrato ex post l'utilità diretta e l'inerenza della spesa per la società.

La Corte, tuttavia, dichiara il motivo inammissibile con un'argomentazione di notevole rilevanza. La valutazione dell'incidenza giuridica di una pronuncia di assoluzione sulla vicenda non costituisce l'esame di un "fatto", bensì una "argomentazione" della parte, una tesi difensiva sulle conseguenze giuridiche di una determinata situazione. In altri termini, l'esito del giudizio penale non può retroattivamente mutare la natura di un costo, la cui inerenza va valutata al momento del suo sostenimento e in relazione alla sua causa genetica, non ai suoi effetti eventuali e futuri. Tale precisazione rafforza la barriera tra l'accertamento del fatto, proprio dei giudizi di merito, e la sua qualificazione giuridica, che costituisce il nucleo del giudizio di legittimità, ribadendo che l'inerenza è un concetto da valutare ex ante e non ex post.

In definitiva, queste pronunce rappresentano un punto fermo, consolidando un approccio rigoroso che esige un nesso causale diretto e immediato tra il costo e l'attività d'impresa rilevante ai fini Iva, ponendo l'onere di provare tale nesso interamente a carico del contribuente e confermando una netta separazione tra la sfera giuridica della società e quella, personale, dei soggetti che agiscono per essa siano essi amministratori o dipendenti.