
Bancarotta fraudolenta in un gruppo, per sfatarla serve un “saldo positivo”
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 7530 depositata il 25 febbraio 2025, ha chiarito che, per escludere la natura distrattiva di un'operazione infragruppo invocando il maturarsi di vantaggi compensativi, non è sufficiente allegare la mera partecipazione al gruppo, ovvero l'esistenza di un vantaggio per la società controllante, dovendo invece l'interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l'operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata.
Oggetto di impugnazione davanti alla Cassazione era una sentenza della Corte di appello di Ancona, che, decidendo quale giudice di rinvio a seguito di annullamento della sentenza di assoluzione di un imputato per il reato di bancarotta fraudolenta, emessa dal Tribunale di Urbino, in riforma di detta pronuncia, lo condannava per i fatti distrattivi in favore di due Srl ad una certa pena. Il Tribunale di Urbino, infatti, era pervenuto ad una decisione assolutoria per insussistenza del fatto poiché, quanto ai contestati conferimenti ad una Srl, le somme risultavano essere state interamente restituite alla conferente impresa individuale dell'imputato, dichiarata fallita.
Quanto ai conferimenti in favore dell'altra Srl, invece, le somme sarebbero state in parte destinate ad estinguere un debito della fallita nei confronti del proprio commercialista ed in parte a coprire debiti che la Srl aveva con un istituto bancario e quanto a quelli in favore dell'altra compagine gli stessi erano stati ritenuti funzionali sia all'attività della conferita, sia all'attività della conferente, stante gli stretti rapporti fra la ditta individuale dell'imputato e le partecipate. Quanto ai mezzi di proprietà della fallita asseritamente ceduti a prezzo vile ad altra società, non essendo provata l'incongruità del prezzo di vendita non veniva ritenuta sussistente, dal Tribunale menzionato, la distrazione.
La Corte di cassazione, pronunciatasi successivamente sulla vicenda in quanto adita dal Pm presso il Tribunale di Urbino, annullava la sentenza impugnata, limitatamente ai conferimenti effettuati in favore delle Srl.
Quindi, la Corte di appello di Ancona, quale giudice del rinvio, condannando l'imputato per bancarotta fraudolenta, riteneva che egli avesse impiegato risorse destinate all'esercizio dell'impresa individuale, poi fallita, per onorare debiti di soggetti giuridici distinti, non sussistendo nel caso concreto elementi tali da potere ricondurre le società riconducibili all'imputato ad un gruppo di imprese. In ogni caso, osservava la Corte di Appello del capoluogo marchigiano, anche a voler ritenere la sussistenza di un gruppo di società o di imprese, sarebbe stato necessario dimostrare l'esistenza di vantaggi compensativi che neutralizzassero gli svantaggi per i creditori della fallita.
Il dolo generico era ritenuto pienamente sussistente, essendo l'imputato per sua stessa ammissione consapevole di destinare somme di titolarità della fallita al pagamento di debiti di altri soggetti giuridici. La Corte, infine, non riteneva neppure fondata la tesi della bancarotta riparata, in quanto la fallita era impresa individuale e ciò comportava che la garanzia per i creditori della medesima fossero tutti i beni di titolarità dell'imprenditore, anche quelli personali.
Il ricorso di legittimità
L'imputato proponeva ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi di diritto, sui primi tre dei quali si ritiene utile soffermare la nostra attenzione. Anzitutto, il ricorrente lamentava che la Corte territoriale avesse errato nel non ritenere sussistente nel caso di specie un gruppo di società; tutte le imprese, infatti, erano dirette da lui stesso, utilizzavano gli stessi dipendenti e avevano gli stessi fornitori e soprattutto erano interdipendenti l'una dall'altra. Quindi, era evidente che le risorse della fallita erano state utilizzate per finalità aziendali della fallita. Inoltre, l'imputato eccepiva la carenza dell'elemento soggettivo: in particolare, avendo finanziato, utilizzando beni propri, le società che a lui facevano capo, si doveva ritenere assente la volontà consapevole di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. Infine, l'imputato lamentava la violazione dell'articolo 216, comma 1 Rd n. 267/1942, sotto il profilo della ritenuta insussistenza della "bancarotta riparata".
La sentenza della Cassazione
Nel ritenere infondato il ricorso, la Suprema Corte premette che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale è configurabile un "gruppo di imprese" - rilevante ai fini della ipotizzabilità di eventuali "vantaggi compensativi" - anche tra enti che abbiano differente natura giuridica (società ed associazioni senza fini di lucro), purché tra loro si instauri un rapporto di direzione nonché di coordinamento e controllo delle rispettive attività facente capo al soggetto giuridico controllante (cfr. Cass. 31997/2018). L'accertamento dell'esistenza di un gruppo di imprese necessita della prova di un'attività di direzione da parte dell'ente indicato come controllante, nonché di un centro unico di coordinamento delle attività e di un piano di azione imprenditoriale comune con le società ad essa collegate.
Tale aspetto, tuttavia, secondo la Cassazione, non esisteva nel caso di specie, non essendo stato mai chiarito quale delle società del preteso "gruppo" avrebbe svolto l'attività di direzione, ovvero di coordinamento rispetto alle altre; l'unico collegamento fra le società, fra cui si annoverava anche la impresa individuale poi fallita, era costituto dal fatto che l'imputato fosse socio delle società che avevano beneficiato dei trasferimenti di danaro.
Del resto, per rendere penalmente irrilevanti le operazioni infragruppo è necessaria l'esistenza di vantaggi compensativi che annullino gli svantaggi derivanti del depauperamento di una società in favore delle altre: non integrano, in questo senso, il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale i pagamenti tra società infragruppo riconducibili all'operatività del contratto di "cash pooling", purché i consigli di amministrazione delle società interessate abbiano deliberato il contenuto dell'accordo, definendone l'oggetto, la durata, i limiti di indebitamento, le aliquote relative agli interessi attivi e passivi e le commissioni applicabili (cfr. Cass. 39139/2023). I vantaggi compensativi, conseguiti o fondatamente prevedibili, di cui all'articolo 2634, comma terzo, codice civile, idonei ad escludere la natura distrattiva di un'operazione infragruppo, devono – secondo la giurisprudenza di legittimità - presentare i requisiti di certezza, congruità e proporzionalità ed essere di valore almeno equivalente al sacrificio economico inizialmente sopportato dalla società fallita (cfr. Cass. 42570/2024). Inoltre, i vantaggi compensativi debbono riequilibrare gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzare gli svantaggi per i creditori sociali (cfr. Cass. 18333/2022).
In definitiva, per escludere la natura distrattiva di un'operazione infragruppo invocando il maturarsi di vantaggi compensativi, non è sufficiente allegare la mera partecipazione al gruppo, ovvero l'esistenza di un vantaggio per la società controllante, dovendo invece l'interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l'operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata (cfr. Cass. 8253/2015): è, quindi, necessario dimostrare che, a fronte del depauperamento di una società, vi sia stato un vantaggio che riverbera in favore degli interessi complessivi del gruppo societario cui appartiene la società depauperata (cfr. Cass. 48518/2011).
L'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta
La Suprema Corte, nello valutare il secondo motivo di ricorso proposto dal contribuente, chiarisce che l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (cfr. Cass., sezioni Unite, 22474/2016).
In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione o per occultamento, più in particolare, ad integrare l'elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, dal momento che è necessario che l'agente, perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa, abbia coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con gli interessi della stessa, in quanto aventi quale conseguenza la lesione del patrimonio aziendale, la diminuzione delle garanzie patrimoniali e l'indebolimento della posizione dei creditori (cfr. Cass. 2876/1998).
Dunque, la sussistenza dell'elemento soggettivo inteso come consapevolezza di destinare risorse di una società a vantaggio di altri soggetti era ammessa dall'imputato stesso il quale aveva giustificato tali esborsi affermando che era l'istituto di credito che gli imponeva di corrispondere le somme in favore delle altre società, dal medesimo partecipate e parimenti debitrici dell'istituto di credito, pena la chiusura delle linee di credito concesse.
La bancarotta "riparata"
La Cassazione affronta, infine, l'ultimo motivo di ricorso, esponendo che, ai fini della configurabilità della bancarotta "riparata", non è necessaria la restituzione dei singoli beni sottratti, ma occorre che i versamenti nelle casse sociali, compiuti prima del fallimento onde reintegrare il patrimonio precedentemente pregiudicato, corrispondano esattamente agli atti distrattivi in precedenza perpetrati (cfr. Cass. 14932/2023).
La bancarotta cosiddetta "riparata" si configura determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato quando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori, pertanto è onere dell'amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (cfr. Cass. 57759/2017).
Non configura la bancarotta cosiddetta "riparata", invece, la restituzione dell'importo ricevuto o sottratto mediante mere operazioni contabili (cosiddetti "giri" di denaro) tra società del medesimo gruppo, senza nuovi apporti finanziari esterni, trattandosi di un "adempimento apparente", inidoneo a reintegrare, nella sua effettività ed integralità, il patrimonio dell'impresa prima della dichiarazione dello stato di insolvenza e ad annullare il pregiudizio per i creditori (cfr. Cass. 13382/2020).
In definitiva, questa la conclusione della Suprema Corte, non è possibile riparare la bancarotta con somme che, in quanto provenienti comunque dallo stesso patrimonio individuale, si confondano con quelle ordinariamente destinate all'esercizio dell'attività d'impresa.
Da Fisco Oggi